L’immagine specchio e ponte delle relazioni

Rivista di psicologia analitica
Nuova serie n.39 Volume 91/2015
Annemarie Kroke

L’immagine specchio e ponte delle relazioni

Prima che uscisse il Libro rosso ancora  segreto per tutti noi, parlavo del lavoro analitico con l’immaginazione attiva come di un “approccio paradigmatico” altro, in cui la psiche del momento si esprimeva da dentro: è l’immaginante stesso che ne fa consapevolmente l’esperienza. Essendo partecipe alla scena immaginale interagisce in maniera letterale e vive il processo emotivamente, è presente con il corpo e l’anima  confrontandosi, dialogando con le figure della scena. E sperimenta che il mettersi in relazione con quelle figure permette  alle immagine di trasformarsi. In ogni immagine si evidenzia la situazione psichica attuale e le possibilità psichiche dell’immaginante in quel momento disponibili per promuovere un certo passo trasformativo delle tematiche da elaborare. Il processo trasformativo che viene vissuto fenomenologicamente durante l’immaginazione ha un “filo rosso”, ha un senso leggibile dall’immaginante. Soltanto a posteriori, a un secondo livello, ci sarà la lettura delle immagini simboliche e del processo trasformativo. Cosicché dopo l’immaginazione attiva si cercherà di elaborare e di comprendere il significato di ciò che si è vissuto. Questo secondo livello per il lavoro analitico è di particolare rilevanza.

Spesso i colleghi che hanno partecipato ai gruppi esperienziali d’immaginazione attiva mi dicono che sono venuti fuori dei contenuti che non erano emersi nella loro analisi. Suppongo che questo dipenda proprio dal fatto di essere attivamente ed emotivamente partecipi in maniera unificata, anima e corpo, durante il processo immaginale che approfondisce il vissuto. S.Leikert scrive (1) (tradotto da me) : “ Quando l’attività psichica si immette nel processo di percezione e l’oggetto di percezione ha una buona strutturazione, proporzione e  ordine, si sente una buona connessione tra soggetto e oggetto …che dà al sé corporeo la gestalt del vissuto,… l’esperienza emozionale del sé corporeo.”

L’immaginazione attiva evidenzia la capacità segreta del grande potere creativo della psiche. E forse Jung si riferisce a quel potere descrivendo la psiche  come immagine:  l’immagine è psiche. Jung (2)dice: “ L’immaginazione è l’attività riproduttiva o creativa dello spirito, in genere, senza facoltà particolare…La fantasia, con attività immaginativa, è per me semplicemente l’espressione diretta dell’attività vitale psichica, dell’energia psichica, la quale è data alla coscienza solo in forma di immagini o di contenuti.” Se siamo coinvolti letteralmente nel processo immaginale, questo è “esse in anima… noi viviamo direttamente solo nel mondo delle immagini.”(3) fare l’esperienza articolata della realtà psichica. Si creano delle realtà che favoriscono  l’emergere di modi d’essere dell’immaginante che finora erano rimaste nascosti nell’inconscio profondo.

Verso la fine dell’analisi in cui si fa l’esperienza dell’immaginazione attiva, gli analizzandi hanno una consapevolezza più articolata dei propri momenti critici. Sono i momenti  in cui si tende a evitare difensivamente la trasformazione. Cosicché a questo punto spesso l’immaginazione attiva la fanno a casa da soli. Il processo immaginale può accompagnarci per tutta la vita. Un po’ è simile al ricordare il sogno, al farsi accompagnare da quel ricordo d’immagini, di simboli, nella vita che scorre. E un prendersi cura di sé che sprona la vitalità.

Nei testi in cui Jung parla dell’immaginazione attiva usa la parola tedesca Auseinandersetzung. Questo sostantivo tradotto significa “sedersi distanziati” nei testi italiani si parla di con-frontarsi. Sedersi distanziati, secondo me, implica la base del metodo dell’immaginazione attiva: il paziente si pone consapevolmente nella posizione in cui è presente con il suo corpo nel contesto immaginale e ha uno spazio intorno che gli da la possibilità di proiettare aspetti inconsci  nella forma di figure. Ed è quella posizione distanziata dall’Altro che gli permette di mettersi in dialogo o confronto, cioè in una relazione dinamica e trasformativa.

“Sedersi distanziati” significa accogliere ciò che  si espone come immagine nei momenti crepuscolari o di sofferenza. dando ascolto, partecipando all’energia delle nuove forze emergenti, alle forze autotrasformative . Entrarci, fare parte, cercare di alleviare le tensioni relazionali tra noi e le figure personificate, o fra le figure stesse, – credo che sia in sé un processo formativa e trasformativo, e perciò  molto prezioso.

In questo senso avevo scritto la mia tesi di laurea confrontando il processo creativo dell’artista con il processo dell’immaginazione attiva, cercando di mostrare come nel corso  degli anni nelle opere, p.e. di uno scrittore, si evidenziano delle figure, che nel corso del processo dialogico si trasformano, forse segnalando un analogo cambiamento dei contenuti simbolici dell’artista.

Hermann Maass, un analista junghiano di Zurigo, che teneva seminari sull’immaginazione attiva all’istituto zurighese mi ha avvicinato a questo metodo.  Lui lo proponeva  quasi in ogni seduta, perché le immaginazioni attive  venivano proseguite dando cosi forma a un processo continuativo. Alla conclusione della seduta seguiva il livello ermeneutico, cioè la lettura dell’immaginazione  con l’analista. Maass  descrive il suo modo di lavorare analiticamente con l’immaginazione attiva nei suoi diversi libri. (4,5,6)

Gli sono molta grata di avermi dato la possibilità di fare una esperienza d’immaginazione attiva prolungata con lui negli anni 70/80. Successivamente cercavamo assieme di approfondire e ampliare la comprensione dei significati dei processi immaginali. Cosi, anche lui, spinto dalla ricerca di trovare il significato, forse come avrebbe fatto anche Jung, quando vide in mia presenza i lavori di uno scultore, cercava di leggerne il significato in ogni opera compiuta il che irritava non poco l’artista.

A differenza di Maass e del mio modo di lavorare con l’immaginazione attiva, quando Jung, M.-L. von Franz e altri ne parlano, sottolineano la necessità di farla da soli alla fine dell’analisi per sciogliere il transfert e permettere di progredire nel processo individuativo che dura tutta la vita. Il lavorare analiticamente con l’immaginazione attiva in seduta , quindi in presenza dell’analista, io lo vedo da una parte come una preparazione per questo processo, dall’altra come un ulteriore intenso metodo analitico.

 

 

Per me come analista, l’impatto con il mondo interno di quella persona che si espone nell’immaginazione attiva è sempre sorprendente, spesso senza preavviso mi trovo umilmente in ascolto di un mondo altro. È il mondo dell’immaginante, tutto suo nella sua ricchezza e diversità espresso con le modalità peculiari di quella persona. L’impatto è inaspettato  e richiama in me un’attenta e umile presenza  d’ascolto. Per trasmettere un po’ il mio vissuto nella pratica analitica e introdurre il mio metodo di lavoro, vorrei subito portare qui un’esempio.

Ho scelto di raccontare un’immaginazione attiva sviluppata dopo un sogno per evidenziarne le specifiche facoltà dell’immaginazione e non per approfondire la clinica dell’immaginante.

Subito dopo le vacanze estive Sonja entra nella stanza d’analisi: “finalmente! Avevo paura che mi venisse rubata, che mi venisse a mancare! Mi sono portata i suoi occhi, il suo sguardo.”  E mi racconta un sogno che riprende con l’immaginazione attiva.

Il sogno:  “Sto con altre, non so chi, davanti a un muro. So che c’è l’acqua dietro. Siamo molto vicine per adorare delle icone in alto sul muro delle Sante medioevali. Mi travolge uno tsunami da dietro. Nel sogno penso a un film che ho visto in cui una giornalista viene travolta da uno tsunami che la sbatte, ferisce e poi lei cambia vita. A me non succede niente. Non sento neanche l’acqua. Poi lo tsunami mi lascia in una posizione un po’ piegata in avanti. Alla mia destra c’è una Fiat bianca, un modello che era uscito quando sono nata.”  – Poi aggiunge: “Vorrei fare altro, ricominciare in una dimensione diversa.”

Nel sogno uno tsunami  la trasporta, irrompe un’intensità emozionale particolare! Attraverso l’immaginazione attiva questa carica emozionale potenzialmente travolgente, nel processo in presenza dell’analista può  essere contenuta e dispiegarsi all’immaginante. Inoltre, c’è il fatto che lo tsunami ha in genere forza distruttiva, mentre nel sogno non crea panico ne bagna la paziente. Potrebbe essere che lei vive il travolgimento senza la percezione del proprio corpo? Nell’immaginazione attiva non c’è sviluppo, non c’è un susseguirsi di immagini modificate se l’immaginante non è realmente partecipe nel processo, con l’anima e con il corpo.

Queste riflessioni mi portano a proporle: “ Vorrebbe continuare il sogno con l’immaginazione attiva riprendendo dall’uscita dello tsunami?” –Non propongo, però,  di riprendere interamente il sogno per un mio timore di esporla al vissuto del travolgimento dello tsunami, non sapendo ancora  valutare l’energia psichica che l’immaginante ha a disposizione in quel momento perché questa, secondo me,  si evidenzia durante il processo immaginale.

Sonja inizia l’immaginazione attiva dicendo:

“No, riprendo tutto il sogno: Sono molto vicina al muro. È il muro di Berlino, con sopra le piccole icone. Una è molto bella con una faccia dorata molto luminosa. —— Vorrei oltrepassare il muro, non evitarlo o andare intorno o altro! “— Io le chiedo:  “Da quale parte del muro si trova?” — “Sono alla parte Est.—- Spingo con forza prima con la mano nel muro, poi con la testa. È molto stretto! Poi passo tutta. — Sono arrivata all’altra parte! È come per un nuovo inizio.!  Sono libera! —- Cadono delle rose rosse dal  cielo. —— E un po’ come una nascita. —– L’orizzonte è tanto ampio. —- Ma ho paura, mi blocco, sono come un bambino che vuole camminare e non c’e la fa. —- Sono inginocchiata a forma di uovo come facevo da bambina e ho tanta paura. —- Vedo lei venire dall’orizzonte, — ora è alla mia destra. Vorrei tanto toccare il suo viso. Davanti è tutto grigio, che brutto! Ho paura che questo posto mi ruberà lei, che lei mi abbandoni.” —- Io le chiedo: “Vorrebbe fare qualcosa?” — Si! Prendo il suo braccio, — ora va bene.” E dopo aggiunge :” Ho proprio bisogno di impossessarmi di lei, che lei ci sia sempre!”

Forse l’energia dell’immagine simbolica della tsunami  del sogno ha indicato che l’immaginante potrebbe disporne per superare la paralisi ammirata delle icone delle Sante medioevali? Questo muro di Berlino che cosi dolorosamente ha inibito il libero movimento, la possibilità di scegliere dove trovare il proprio luogo di vita! L’immaginante non lo scavalca, ma si sforza di attraversarlo con il proprio corpo, con l’energia tsunamica incorporata,  e solo cosi lo può sentire come una nascita: Il cielo le dona delle rose rosse.

Riprendo le immagini simboliche nel parlare con il paziente dell’immaginazione avvenuta. Nel mio lavoro analitico questo capita molto spesso. L’analizzando e io interloquiamo con le immagini simboliche, come se in esse sia veramente contenuto il significato di ciò che l’immaginante ha vissuto. E poi, non è questo il linguaggio del mondo interno dell’analizzando?

Dopo il senso di liberazione dal muro con le icone e le rose rosse, l’immaginante si sente esposta alla memoria traumatica di se stessa bambina, l’eco del vissuto di esperienze relazionali precoci precari. L’orizzonte è tanto ampio da perdersi e quindi evoca la paura iscritta nella sua psiche e anche nel suo corpo, perché riprende la posizione di maggior raccoglimento “a forma d’uovo” senza la possibilità di relazionarsi ad un altro da sé, per non esporsi allo spazio ormai diventato grigio, un infinita estensione vuota.

In quel momento l’immaginante mi porta nel suo spazio immaginale, me la sua analista, alla quale contemporaneamente descrive a  parole ciò che vive nel processo! In tutti gli anni di esperienza di lavoro analitico con l’immaginazione attiva nelle sedute questo è la seconda volta che mi succede. L’immaginante mi dice dopo :”devo impossessarmi di Lei, per non rimanere liquefatta, senza forma”, come se la costante presenza dell’analista la contenesse per non disperdersi nel vuoto abbandonico.

È un transfert cosi forte da dovermi portare nell’immaginazione “corporalmente”, come una figura personificata della sua psiche? Ho un po’ di difficoltà a chiamarlo transfert, piuttosto mi sembra un’evocazione di un oggetto interno costante – ricordo, in fatti, che all’inizio della seduta aveva detto “nella vacanza mi sono portata i suoi occhi, il suo sguardo.” – che permette l’esposizione alle angosce  del vuoto. Suppongo che questa donna non sarebbe riuscita a farlo finché vivesse dietro al muro, scissa dal vissuto corporeo.

Qualche tempo dopo mi dice: “da quando mi sono portata i suoi occhi dentro, vedo parti di me che non ho mai conosciuto.”

L’altra paziente che tanti anni fa mi portava anche lei nella sua scena immaginale non reggeva l’emergere di una figura come altro da sé, perché la viveva come invasiva. Per proteggersene richiamava il vuoto e con disperazione doveva prendere atto che il processo immaginale si bloccava.  Queste interruzioni del processo si ripetevano finché un giorno lei porta me, cioè la sua analista interna, nella sua immaginazione come una sua figura personificata  nella sua scena immaginale.

Ho portato questi due esempi perché secondo me evidenziano che l’immaginazione attiva si può svolgere anche in una fase psichica in cui la struttura dell’Io si deve riassestare dopo la rinuncia alle strutture sussidiarie, alle sovrastrutture. Ma secondo me, questo è possibile soltanto nelle sedute e in presenza dell’analista.

A volte il passaggio all’immagine sembra quasi fluido. Proprio l’altro giorno una paziente mi dice che sta male e contemporaneamente porta lentamente la sua mano destra in maniera delicata sul torace a sinistra. Io sono come catturata da quel gesto corporeo che mi sembra esprima altro dalla sua mimica sofferente. Mi viene la fantasia di un cuore dolente, ma sento che quel gesto è un simbolo. E cosi le chiedo:” Le viene in mente una parola che esprime cosa sente?” Senza esitare risponde: ” Insoddisfazione!” Questa risposta la sento come un timbro che blocca l’apertura al flusso emotivo, e allora le chiedo; “Le viene un immagine?” Dopo un po’ descrive:” sono nel nero, nel buio completo.” Passa tempo e le propongo una domanda-stimolo per sentirsi presente con anima e corpo nell’immagine: ”Quanto è grande?” E lei: “Sono neonata, sono nella mia culla. Intorno c’è solo buio. Sul nero vedo una piccola cornice bianca dentro c’è una figura rossa sfocata che pulsa.—- Questo mi placa.— Mi da un po’ di sicurezza.— Adesso mi vedo nella culla e sento tutto ciò che sente la neonata, lo capisco.” — Sento una tensione inibitoria che si protrai senza possibilità di essere sciolta. Mi sembra che ripeta l’impronta di un suo vissuto di prima infanzia. Passa del tempo che non è un tempo incubatorio, ma sembra vuoto, anche affettivamente, e quindi le chiedo: ” Quanto è distante da la neonata?” “ Sono vicina, la potrei toccare.— La prendo in braccio.—“ Piangendo disperatamente esclama: ” Ma è cosi semplice! !- Penso  a mia madre!—- Tengo in braccio me neonata che sta bene,—- Sta crescendo piano piano. — Adesso è grande.”

Quel gesto dolce della sua mano sul petto, emerso nel suo discorso in seduta, le ha permesso di non rimanere nella sofferenza di una mancata risposta empatica, di trovare un modo di placarla stando in contatto con sé.

E diverso se l’analizzando mi racconta un sogno notturno o se fa un’immaginazione attiva nella stanza d’analisi che fa parte del lavoro analitico. In quanto analista, che l’accompagna, cerco, prima di iniziare, di farmi venire un’immagine su ciò che potrebbe succedere per aprirmi al linguaggio dell’anima del  mondo immaginale. A posteriori posso leggere quanto sono stata disponibile alla comunicazione inconscia con l’immaginante.  Quando non ritrovo una corrispondenza mi interrogo sui motivi delle mie difficoltà di apertura all’ascolto incorporato trasferale. Durante l’immaginazione evito di pensarci per non influenzare inconsciamente l’immaginante e sto umilmente in uno stato di “Immaginazione empatica”.(7) Cerco di immaginarmi, aiutata  dalla descrizione del paziente, ciò che nel contesto immaginale percepisce sensitivamente e  ciò che vive emotivamente e quali sono gli atteggiamento delle figure incluso la propria. Per accompagnare l’immaginante tento di comprendere ciò che succede. Ma quali sono i miei parametri?

Con gli anni d’esperienza sono arrivata alla consapevolezza che l’immaginazione attiva viene vissuta come una realtà, interna se vogliamo.  Cosicché la mia lettura si rifà all’ordine delle cose, equiparabile alla realtà del mondo esterno, alle leggi formali della natura, valgono le leggi dello spazio, del tempo, dell acità di movimento corporeo ecc. I. Riedel (8) dice:“ La rappresentazione spaziale che proiettiamo sul piano di un’immagine è comunque e allo stesso tempo fondata sul nostro corpo, sulla nostra esperienza e sul modo di orientarci nello spazio. La nostra esperienza corporea, … viene trasferita sul piano dell’immagine,…” Quindi se  la figura dell’immaginante non riesce girarsi per vedere cosa ha alle spalle, questo ha un senso, oppure se ha rivolto una domanda a una figura e questa non reagisce, anche questo ha un senso o se qualcuno scompare senza ricomparire in una forma trasformata e cosi via. Da tutte le variazioni dalle coordinate della realtà l’analista che accompagna può leggere gli aspetti individuali dell’immaginante. Soltanto quando sento che il processo sembra bloccato inevitabilmente senza aver portato a un passo trasformativo anche minimo propongo una domanda-stimolo che può essere colta o meno a secondo la necessità di protezione difensiva dell’immaginante in quel momento. Per me è molto importante non influenzare il vissuto affettivo dell’immaginante, che è la base dell’esperienza, anche se a volte ha dei tempi trasformativi che sembrano veramente lunghi.

Nella maggior parte dei casi l’immaginante mi descrive a parole ciò che percepisce nel contesto immaginale, Ma ci sono persone che si muovono nello spazio reale della stanza analitica  cosi come si muovono contemporaneamente nella loro realtà immaginale. Avvolte, dicono qualche parola per farmi comprendere qualcosa, avvolte rimangono in silenzio. Io sono il testimone del processo. Le seguo immaginalmente nel movimento, nella mimica ascoltando le mie emozioni.

Dopo un passo trasformativo, anche piccolo, l’immaginazione attiva può essere chiusa, perché si completata una Gestalt.  E come sappiamo dalla terapia gestaltica solo una Gestalt chiusa permette all’esperienza del vissuto di consolidarsi. Quindi una volta conclusa la Gestalt dell’immaginazione riprendo con i pazienti verbalmente il filo rosso del processo. E se  manca un passaggio le propongo di rifare il movimento precedente e cosi l’immagine successiva viene trovata, perché il vissuto corporeo  ne conserva la memoria.

La presenza dell’analista mi sembra essenziale quando l’immaginazione attiva parte da un dolore somatico. Secondo me questo vale per due motivi.

Primo, l’immaginazione attiva si svolge all’interno del proprio corpo e il contesto analitico funge da contenitore. L’immaginante quando agisce all’interno del proprio corpo ha ben presente il contesto esterno della seduta analitica e al tempo stesso sta in relazione intersoggettiva con l’analista.  Questo aspetto mi sembra particolarmente significativo, perché agire all’interno del proprio corpo può essere vissuto come un atto pericoloso visto che mette in questione il limite corporeo protettivo e fa sentire esposti ad un atto magico.

C’è un secondo motivo: quando il paziente porta un dolore somatico in seduta, lo sente come preponderante, un disturbo quasi estraneo del quale vorrebbe disfarsi. visto che segnala un qualche danno che è vissuto negativamente. L’affetività rimane in ombra, rimane distante. Nel mio lavoro analitico con l’immaginazione attiva seguo il richiamo corporeo. Sembra esserci un addensamento dell’energia libidica che crea una barriera al vissuto emozionale. E la tensione dolorosa fisica spesso corrisponde a quella del contenuto inconscio sottostante. L’aspetto psichico di quel dolore può esplicitarsi nell’immagine.

Forse l’espressione di dolore, in senso ampio, segnala di una mancanza di  connessione, di relazione, di capacità di riflessione. Secondo le ricerche sui neonati abbiamo una preconcezione di relazione implicita che crea il bisogno primario di relazione. Jung (9) “Il processo d’individuazione ha due aspetti fondamentali: da un lato è un processo d’integrazione interiore, soggettivo; dall’altro è un processo oggettivo, altretanto essenziale, di relazione. I due aspetti sono inseparabili, …” Ed è proprio una delle qualità specifiche dell’immaginazione attiva che invita, possiamo dire richiede, una relazione emotivamente partecipe. Hillman (10) dice “Una volta che si è alle prese con una figura personificata, entrano in gioco i sentimenti: c’è l’amore, l’antipatia, ogni genere di attività emotiva… non si può non amare niente se non è personificato, se non appare in una forma personificata.”

La preoccupazione di Jung è per il rischio d’identificazione con qualche figura personificata oppure per un gioco di potere narcisistico con queste. Secondo me, lui accenna all’importanza di rimanere in dialogo nella relazione intersoggettiva. Nella stanza d’analisi una domanda-stimolo può permettere all’immaginante di riconoscere i suoi atteggiamenti difensivi e magari tentare di modificarle per non bloccare il processo.

Avvicinarsi all’Altro, entrarci in contatto, dialogarci induce il cambiamento e con questo si sviluppa una sequenza logica d’immagini ogni volta modificate. I cambiamenti possono essere nell’aspetto e nelle caratteristiche dell’Altro. Particolare dell’immaginazione attiva é che un cambiamento è ben leggibile per l’immaginante che riesce metterlo in relazione a ciò che la causato nell’interazione con l’Altro. Quando parlo dell’Altro, non intendo sempre una figura personificata, ma può essere anche, – come nel primo esempio – il muro di Berlino. Quando Sonja si è spinta attraverso il muro e si è sentita liberata, l’immagine seguente è modificata in corrispondenza al suo atteggiamento di liberazione: cadono le rose rosse. Però, visto che lei dice  “è come una nascita” si sente come una bambina piccola con il vissuto emozionale della bambina. E nel presente del processo, con quest’immagine viene risvegliato l’eco di un passato lontano. (11) È il vissuto dell’ assenza della figura dell’Altro. Conseguentemente segue l’Immagine dell’orizzonte ampio e vuoto, grigio, che suscita in lei un diverso vissuto emozionale: La paura, l’incapacità di camminare in avanti. Ma ora, diversamente dalla bambina di allora, lei dispone dell’energia psichica, e quindi riesce a correggere il suo atteggiamento verso l’Altro, che è l’orizzonte vuoto. Ne ha meno paura e sente ciò che le manca, ascolta il suo bisogno primario di relazione. E il processo prosegue perché l’Altro rispecchiando l’atteggiamento trasformato dell’Io cambia a sua volta., emerge la figura personificata della sua analista interna. Il concetto del ‘turn-taking’ di Jean Knox (12) esprime questo processo.

La descrizione dei singoli passaggi del processo ci dimostra che c’è un flusso della vita psichica sostenuto dal flusso dell’energia psichica. Il flusso scorre in una direzione e cosi struttura il mondo dell’immaginante. La sequenza delle immagini evidenzia una logica, un filo rosso, che l’immaginante si porta con sé per comprenderlo ancora meglio una volta finita l’immaginazione attiva. Nella “fase ermeneutica” può emergere la necessità di una interpretazione. C’è avvolte bisogno di comprenderne il significato, per arrivare al senso, anche se, secondo me, le immagini parlano quasi da sole. Come ho accennato, preferisco parlare dell’immaginazione in un linguaggio metaforico usando le metafore portate dall’immaginante.  Tra parentesi, durante il processo immaginale un atteggiamento interpretativo crea una distanza dal coinvolgimento  emotivo per cui è preferibile, se possibile, posticiparlo alla fase di comprensione.

Ma vorrei tornare al dolore somatico portato nella stanza d’analisi come qualcosa a se, distaccato se non dissociato dal vissuto affettivo, dal vissuto psicocorporeo. E visto che la persona che porta il dolore somatico non è in relazione con esso, secondo me questo blocco richiede l’immaginazione attiva per attivare la relazione e avviare il processo trasformativo.

Sia il dolore che precede la seduta che quello che compare durante, possono fungere da punto di partenza del processo. È importante che l‘ascolto dell’analista sia sintono con il paziente esplicitato nell’invito ad ascoltare insieme il dolore a orientare l’attenzione su tutti gli aspetti sensoriali percepibili del dolore e in seguito ad accentuare l’attenzione sensibile e dedicarsi alla parte dolorante. Chiedo di provare a descriverlo il più dettagliatamente possibile nelle sue qualità differenziate: il tipo di dolore, l’intensità, la forma, la temperatura, il colore, l’ eventuale ritmo ecc. Ciò permette l’intensificazione dell’ascolto dell’immaginante, un‘ascolto che accoglie. Da questa disponibilità al dedicarsi al dolore si configurano le proiezioni inconsce sull’area di dolore che trovano la loro forma nell’immagine e si avvia il processo.

Concludendo vorrei tentare di trasmettere ciò che per tutti questi anni ha reso vivo e appassionato la mia ricerca sul lavoro analitico con l’immaginazione attiva.  Come ho ripetuto questa richiede l’ascolto umile e attento per incontrare il proprio profondo. In cerca della nostra anima permettiamo alle figure dell’inconscio di emergere fidandoci che sanno più di noi. L’immaginazione è la nostra anima.

Questa stessa attitudine dell’ascolto all’immensa ricchezza del mondo immaginale di ciascuno vale anche per me come analista. Non posso che rimanere aperta a questi mondi, cosi diversi, perché sanno più di me. Sanno della situazione psichica dell’immaginante, sanno delle sue energie psichiche per rispettare l’equilibrio, sanno della misura e del ritmo dei passi trasformativi possibili adeguati.

L’atteggiamento di rapportarsi all’altro dandogli un credito di fiducia mi sembra la base per ogni relazione profonda. È la fiducia verso l’ampiezza dell’altro.

Se per l’immaginante l’ascolto è la premessa per l’immaginazione, per me, come analista, è stato ed è un insegnamento e un dono nel rapportarmi all’altro con quest’attitudine. Ciò non esclude di lavorare analiticamente, comunque permette di partire da questa base di credito di fiducia verso l’altro.
Note

1)    S. Leikert, “Rhythmus, Ritualisierung, Ästhetik” Analytische Psychologie Heft 174,  Brandes & Apsel Verlag, S. 454

2)    C.G. Jung, “Definizioni” Vol. 6, Opere Bollati Boringhieri, Torino, p. 444.

3)    C.G. Jung, “Spirito e vita” Vol. 8, Opere Bollati Boringhieri, Torino, p.353.

4)    Hermann Maass, “ Der Therapeut in uns. Heilung durch aktive Imagination”, Walter Verlag,1987.

5)    Hermann Maass, “Wachträume. Selbstheilung durch das Unbewußte”, Walter Verlag 1989.

6)    Hermann Maass, “ Der Seelenwolf. Das Böse wandelt sich in positive Kraft ”, Walter Verlag ,1990.

7)    R.G. Collingwood, “Il concetto della storia” Fabbri, Milano, 1966.

8)    Ingrid Riedel, “ L’anima dell’immagine” Edizioni Magi, pag. 48.

9)    C.G.  Jung, “Il Re e la regina” Vol. 16, Opere Bollati Boringhieri, Torino, pag. 241

10) J.  Hillman, “Il Lamento dei morti “ Boringhieri ,p.40, 2014

11)  G. Bachelard, “Poetik des Raumes” Fischer Verlag, S. 7 und S.258

12) J. Knox, “Analytische Psychologie” Heft 170 Brandes &Aspel, S. 459.