L’immaginazione attiva

Giornale Storico di Psicologia Dinamica no. 28, Liguori Editori Vol.15, 1990

ANNEMARIE KROKE PEKRUN

L’immaginazione attiva, concetto del confronto dialettico. Covano in esso tensioni e difficoltà, frutto dell’opposizione tra tendenze inconsce e consce. Immaginare, aprirsi, entrare in relazione di fiducia con l’inconscio, diventare attivi, scegliere e agire coscientemente: due tendenze apparentemente m contraddizione. Ma proprio in questa contraddizione è implicito l’invito al confronto dialettico, è implicita la potenzialità di sintesi tra inconscio e coscienza.

Ho parlato di tensioni e difficoltà che traspaiono nel concetto dell’immaginazione attiva: voglio far capire che la disponibilità ad aprirsi all’inconscio nasce in primo luogo dalla necessità. Ci sentiamo sopraffatti da un affetto, sentiamo venir meno la nostra energia, sentiamo il nostro consueto spazio vitale restringersi: così, a volte, possiamo provare che al di fuori della nostra coscienza esistono forze che pure incidono sulla nostra vita cosciente. Queste forze agiscono come delle limitazioni, ci catturano e ci tengono separati dal mondo esterno, incapaci di agire creativamente. «In ciò che è psichico, come in tutto ciò che deriva dalla nostra esperienza, sono realtà le cose che agiscono, indipendentemente dal nome ad essere assegnato all’uomo. Ciò che occorre è comprendere queste realtà il più possibile, per quello che sono»1. Pertanto il presupposto alla disponibilità di apertura all’inconscio è il riconoscimento della capacità d’azione che l’inconscio ha sulla coscienza.

Per entrare in contatto con l’inconscio nel modo più immediato possibile, C.G. Jung. utilizzò l’immaginazione attiva, con la quale «i contenuti inconsci vengono letteralmente adescati»2. L’inconscio, come forza indipendente dalla coscienza, si manifesta nell’immagine. Ad esempio, come si sa, nelle immagini dei sogni. Nell’immaginazione l’inconscio offre alla coscienza, in forma simbolica, quei contenuti che la coscienza stessa aveva scisso oppure escluso dallo sviluppo. Tramite le immagini simboliche, l’inconscio tende ad integrare la coscienza, come un complemento.

 

Nella vita del sogno la coscienza soccombe passivamente ai contenuti inconsci. Sarà possibile integrarli soltanto con un successivo sforzo di comprensione. Diversa è la situazione nell’immaginazione attiva. Qui la disponibilità ad aprirsi all’inconscio trae origine nella personalità cosciente. L’immaginante chiude gli occhi, si sforza di disinserire il contatto col mondo esterno, di rendersi «vuoto». Con questo atteggiamento cerca la relazione diretta con l’inconscio, poiché la «visione è quaerenda, vale a dire deve essere cercata»3. Anche in questa situazione l’inconscio si manifesterà nell’immagine. Sarà un’immagine viva, sembrerà quasi reale, dissimile da un’immagine astratta. Né tantomeno l’immaginante cercherà di configurarla come una fantasia. Perciò stabilirà la vicinanza col proprio inconscio. La coscienza è di fronte, un osservatore obbiettivo. Vicinanza e contemporaneo distacco sono la premessa necessaria affinché avvenga il confronto della personalità conscia e inconscia. In questo l’immaginazione attiva si distingue sia dalle immagini del sogno, appartenenti ad un tempo lontano ormai passato, sia dall’identificazione con gli affetti che l’inconscio aveva prodotto nel sogno.

 

Ho parlato di distacco, di confronto: queste parole trovano una loro vera giustificazione in quanto, la coscienza è sì separata dall’inconscio, ma non v’è un’opposizione, una lotta, bensì al contrario un tentativo di integrazione. L’integrazione dei contenuti inconsci è possibile solo se la coscienza accetta quella relazione con l’inconscio che aveva sinora trascurato, affidandosi alla sua guida sensata. L’inconscio è abitato da un vasto sapere. Jung lo aveva riconosciuto: «Filemone e le altre immagini della mia fantasia mi diedero la decisiva convinzione che vi sono cose nella psiche che non sono prodotte dall’Io, ma che si producono da sé ed hanno una vita propria. Filemone rappresentava una forza che non ero io. Nelle mie fantasie conversavo con lui, e mi diceva cose che io coscientemente non avevo pensato… Così egli un po’ alla volta mi insegnò l’obbiettività psichica, la ‘realtà dell’anima’… Da un punto di vista psicologico Filemone rappresentava un’intelligenza superiore»4. In questa intelligenza vi sono cognizioni circa l’attuale situazione della struttura della personalità e cioè quali contenuti vengono respinti, quali sono stati esclusi da lungo tempo dallo sviluppo, di quanta forza dispone l’Io al presente. L’inconscio possiede questa veduta d[insieme e la riproduce nella forma in cui le immagini si configurano. Inoltre è insita nell’inconscio la tendenza a guidare la psiche verso l’integrazione. «La psiche ha una tendenza naturale a portare a post-maturazione quelle parti di sé che non sono sufficientemente sviluppate»5.

 

È al fine di consentire tale post-maturazione che l’inconscio dà forma a immagini. Esse devono essere considerate come rappresentazione della struttura attuale della psiche, e cioè come espressione della relazione tra la coscienza e la parte appena attivata dell’inconscio.

 

A rappresentare gli aspetti inconsci compaiono esseri viventi. E’ dalla relazione che l’Io stabilisce con essi, e dalle relazioni che intercorrono tra gli esseri stessi, che l’inconscio illustra l’attuale situazione psichica. Relazioni disturbate sono riconoscibili in quelle figure che incutono timore. Esse sono l’indizio di una lunghissima interruzione nella relazione fra la coscienza e gli aspetti inconsci, che pertanto producono un effetto di estraneità, causa di angoscia. La forma che assumono queste configurazioni dipende dunque dalla disposizione della coscienza del soggetto.

 

Si tratta di cambiare questa disposizione. Ciò avviene soltanto se l’Io entra negli eventi dell’immaginario e prende parte attiva affinché le relazioni migliorino. Nell’immaginazione attiva I’Io ha questa possibilità, perché gli è dato di agire come nella realtà esterna, da persona completa: può percepire con i sensi, prova sensazioni, pensa e agisce e vive nel suo proprio corpo. L’inconscio dà forma al configurarsi della situazione psichica e durante questo processo guida l’Io verso il suo compito. Solo l’Io infatti, agendo responsabilmente, potrà risolverlo. Dunque, nell’immaginazione attiva, sotto la guida dell’inconscio, la coscienza ha questa possibilità di produrre un vero cambiamento alla propria psiche.

 

Qualunque sia il compito che l’inconscio formula negli eventi dell’immaginario, sarà sempre diretto ad un miglioramento della relazione. L’lo potrà trovarsi esposto alla minaccia di un essere vivente e provare grande angoscia. Spontaneamente tenderà a comportarsi come sinora ha sempre fatto, fuggendo. Ma poiché l’immaginante sa che queste immagini illustrano il suo dramma interiore, dovrà tentare di superare la sensazione di angoscia, in modo che l’Io sia comunque in condizioni di pensare e di agire per ristabilire il contatto con l’essere che lo aveva impaurito. Ci sarà un cambiamento nel suo atteggiamento ed esso sarà riconoscibile perché gli esseri immaginati assumeranno una forma più piacevole e positiva. Tale capacità di cambiamento rivela, come già si è detto, che questi esseri non hanno un carattere autonomo, bensì dipendono dall’atteggiamento della coscienza nel soggetto. Anche la relazione degli aspetti inconsci in conflitto rappresenta un compito che l’inconscio pone all’Io. L’Io dovrà intervenire e mediare quando due esseri si combattono col pericolo che uno dei due soccomba e venga probabilmente persino ucciso; dovrà intervenire e mediare quando uomini e donne si troveranno a dover vivere innaturalmente separati gli uni dalle altre. Se l’Io riuscirà a superare il conflitto migliorando la relazione, avrà promosso un cambiamento della situazione psichica dell’immaginante.

 

Tale cambiamento potrà essere percepito come un aumento di energia. Ciò è comprensibile, in quanto ciò che accade nell’immaginario e nella rete di relazioni tra gli esseri viventi altro non è se non la rappresentazione della situazione dell’energia psichica nell’immaginante. Se un essere vivente o una situazione di conflitto suscitano nell’Io particolare timore vuol dire che proprio in questi aspetti inconsci è imprigionata molta energia psichica. Soltanto se la coscienza vincerà il rifiuto degli aspetti inconsci la personalità potrà disporre di quest’energia.

«L’inconscio è un processo puramente naturale, da un lato senza intenzione ma, dall’altro, con quella potenzialità di essere indirizzato che è caratteristica di ogni processo energetico. Ma se la coscienza prende parte attiva e vive e capisce, almeno intuitivamente, ogni grado del processo, l’immagine successiva comincia ogni volta sul gradino più alto così raggiunto, e in tal modo si produce la direzione verso la meta»6. Nell’immaginazione attiva l’Io, partecipando attivamente, può tracciare la strada al flusso di energia in direzione della coscienza.

 

Potenzialmente l’Io è in grado di avvicinare gli aspetti inconsci, ma è comprensibile quanto difficoltoso sia questo processo, il cui obbiettivo e raggiungibile solo gradualmente. Jung lo ha espresso con le seguenti parole: «In essa (la fantasia, n.d.t.) infatti la personalità conscia e quella inconscia del soggetto confluiscono in un prodotto che è comune ad ambedue e le unifica. Una fantasia così configurata può essere la più alta espressione dell’unità di una individualità, e anche produrre quest’ultima proprio attraverso questa perfetta espressione della propria unità»7. L’aspirazione a un’espressione totale di unità della personalità conscia e inconscia accompagnerà la vita dell’immaginante in un’infinita serie di immaginazioni.

 

Nasce un interrogativo: quale personalità può intraprendere l’immaginazione attiva? Se si vuole affrontare da soli, senza ausilio terapeutico, occorre un forte Io. È il presupposto necessario per non identificarsi negli affetti, poiché, anche se dovrebbero essere vissuti profondamente- condizione basilare per qualsiasi cambiamento- essi non devono bloccare la libera scelta di azione.

All’Io l’inconscio offre ancora un rinforzo: non solo non pretende mai troppo, ma al contrario, nelle situazioni difficili lo affianca con delle figure disposte ad aiutarlo.

 

Immaginare con l’ausilio di un terapeuta è comunque molto più facile. L’immaginante, seppur concentrato completamente sul suo mondo interiore, è in grado di comunicare verbalmente quanto sta accadendo; in questo modo resterà in contatto col terapeuta e potrà anche accogliere quanto questi gli dice.

 

L’immaginazione attiva viene applicata nello studio del terapeuta con obbiettivi diversi: o per elaborare nel modo più diretto possibile una specifica problematica, oppure per sostituire la terapia analitica che ha tempi più lunghi. Perciò le immaginazioni singole, che pure mi sembrano certamente le più diffuse, debbono essere distinte dalla «terapia dell’immaginazione», della quale voglio parlare. Nelle immaginazioni singole quasi sempre il terapeuta «somministra» un tema immaginativo che verrà ulteriormente sviluppato sul piano dell’immaginazione.

Si pensi ad esempio al «Katathyme Bilderleben» (esperienza immaginaria di Katathyme, n.d.T.) di Hanscarl Leuner. Marie-Louise von Franz sembra applicare questo metodo per cercare di elaborare un affetto sconvolgente, proveniente ad esempio da un sogno, che grava sulla personalità. In questo caso l’immagine del sogno viene rievocata e sviluppata ulteriormente nell’immaginazione; successivamente i suoi contenuti verranno elaborati analiticamente.

 

Poiché nelle immaginazioni singole il terapeuta sceglie il tema immaginario, limita volutamente la guida dell’inconscio. Questa è la sostanziale differenza con la «terapia dell’immaginazione» (si veda il lavoro di Maass), nella quale mi sembra che il terapeuta riponga particolare fiducia nella tendenza all’autoguarigione dell’inconscio. Eccetto che nella fase iniziale di una lunga serie di immaginazioni, il terapeuta affiderà la guida completamente all’inconscio dell’immaginante, non essendo lui in grado di sapere in che modo l’inconscio vorrà configurare gli eventi. Man mano che la serie di immaginazioni procede ci si renderà sempre comunque conto che l’inconscio li configura sensatamente. Vorrei sottolineare che sia nella terapia dell’immaginazione che nelle immaginazioni svolte da soli, il vero processo terapeutico si realizza nel corso dell’immaginare. Perciò il terapeuta si limiterà a sostenere l’Io col suo aiuto soltanto nelle situazioni difficili. Quali saranno questi aiuti?  All’inizio, se nessun’immagine compare, il terapeuta potrà proporre il tema di un bosco di fiaba. In questo modo aiuterà a diminuire la resistenza contro l’irrazionale visto che, anche nelle immagini simboliche dell’immaginazione, come nelle fiabe, animali parleranno, morti saranno richiamati alla vita… Sempre in fase iniziale, il terapeuta potrà suggerire all’immaginazione in che modo muoversi nelle immagini, affinché l’Io confidi nella propria libertà di azione e di movimento. In seguito il problema più difficile sarà la riduzione delle resistenze.

 

Queste resistenze derivano dal rifiuto della coscienza del non-sviluppo e degli aspetti inconsci scissi. Esse emergono prima di entrare in una immaginazione, all’inizio della terapia ma anche durante, e indicano che nell’immaginazione seguente l’Io si troverà di fronte a un importante compito. Perciò, di queste resistenze occorre parlare con la persona, per aiutarla a comprendere che l’inconscio espone la propria situazione e continuerà a guidare l’Io mettendolo in condizioni di operare un cambiamento. Poiché senza un’attiva partecipazione il problema non potrà essere risolto.

 

Per poter prestare aiuto il terapeuta deve essere in grado di comprendere l’attuale situazione psichica della personalità. Nell’immaginazione attiva questa possibilità è facilitata dal fatto che già nelle prime immagini viene tracciato un modello della struttura interiore della personalità. Poiché ogni immaginazione seguente inizia dove l’altra è finita, si avrà una storia continua nel cui svolgersi si potranno osservare singoli episodi, il cui contenuto è legato alla soluzione di un problema specifico. In questo modo il terapeuta sarà in condizioni di seguire passo passo e da vicino il processo terapeutico. Potrà anche osservare il comportamento dell’Io nei confronti dei minacciosi esseri viventi che compaiono nell’immagine, e della sua angoscia. Se l’Io si identifica nell’angoscia e uccide l’essere vivente, si priva temporaneamente della possibilità di avvicinare questo contenuto inconscio alla sua coscienza. Se si lascia bloccare dall’angoscia nella sua capacità d’azione, il terapeuta potrà proporre la possibile presa di contatto. L’immaginante sa di non essere costretto a seguire ubbidientemente la proposta, ma che potrà applicarla per libera scelta. In caso contrario, la sua azione non avrebbe valore da un punto di vista terapeutico. A volte l’Io proverà a sottrarsi all’angoscia in altri modi. Durante l’immaginazione abbandonerà il proprio corpo e l’osserverà dall’esterno. Poiché nell’immaginazione le sensazioni sembrano essere legate al corpo, l’Io potrà continuare ad agire senza provare angoscia. Anche questo tipo di comportamento non ha valore terapeutico. Il terapeuta potrà rendersi conto dell’assenza di angoscia, per esempio dal tono della voce dell’immaginante, o dalla sua mimica, e potrà confermare la sua prima supposizione ponendogli domande dirette. Il compito del terapeuta sarà più difficile quando l’Io, sotto l’effetto della sua angoscia, vorrà configurare troppo attivamente gli eventi, quando, non confidando abbastanza nella guida dell’inconscio, si produrrà un’inflazione, un rigonfiamento dell’Io. Allora il terapeuta ricorderà che lo sviluppo dell’immaginazione dovrebbe essere guidato da una parte dall’inconscio, dall’altra dalle reazioni dell’Io.

 

‘Similmente a quanto sopra descritto, il terapeuta potrà osservare il rifiuto dell’inconscio anche al di fuori dell’immaginazione. Il rifiuto si esprimerà sia che la persona opponga resistenza all’immaginazione, sia che la consideri con indifferenza. In questo caso un’elaborazione interpretativa potrà aiutare a ridurre la resistenza e ad accrescere il senso di responsabilità per quanto accade.

 

Ho descritto alcune possibilità d’aiuto da parte del terapeuta al fine di evidenziare quanto questi confidi nella guida sensata dell’inconscio e come ne accompagni il processo di sviluppo. Egli rimarrà comunque sempre nella posizione di colui che continuamente cerca. Mentre l’immaginante trasmette verbalmente ciò che accade, il terapeuta tenterà di far comparire l’immagine di fronte al suo occhio interno. Anche per lui la visione sarà quaerenda.

 

L’esposizione verbale, la formulazione linguistica, resterà tanto per l’immaginante quanto per il terapeuta soltanto un mezzo limitato di espressione della coscienza, che non consentirà di afferrare l’intera portata, il valore dell’esperienza e il fascino delle immagini simboliche. Perciò le stesse immagini riemergeranno sempre alla coscienza per arricchirsi di ulteriori associazioni.

 

Eppure l’esposizione verbale, la traduzione nel mezzo cosciente del linguaggio, riveste particolare importanza proprio per l’immaginante. Tutto teso a trovare una forma di chiarezza comunicativa, si sentirà davvero stimolato ad agire più coscientemente: è questa la premessa del confronto dialettico con l’inconscio. Altrimenti potrebbe facilmente succedere che, per effetto di un atteggiamento di riluttanza, un’esperienza venga prontamente ricancellata. L’atteggiamento dell’Io nei confronti delle immagini si rifletterà nella forma dell’esposizione verbale. Ad esempio, nei momenti carichi di tensione l’esposizione sarà viscosa e stentata, poiché l’Io si comporta più passivamente quando si trova di fronte al minaccioso. Al contrario, il discorso sembrerà più fluido e ricco, non appena l’Io avrà prodotto un cambiamento positivo. Oltre al resoconto verbale durante l’immaginazione, sarà utile una descrizione scritta dell’accaduto: frutto del ricordo cosciente, essa approfondirà il riferimento al processo interiore. Il terapeuta potrà notare le varianti tra il resoconto diretto e la successiva elaborazione scritta.

 

A conclusione vorrei proporre un’immaginazione, tratta da una lunga serie di immaginazioni, così come risulta dalla sua successiva versione scritta. Ciò potrà servire ad avere un’idea più chiara dell’immaginazione. Purtroppo con una sola immaginazione non potrò evidenziare abbastanza la sensatezza con la quale l’inconscio dà forma a sequenze più lunghe nell’immaginazione, né potrò mostrare come in questa singola immaginazione «sia già riconoscibile e presente il seme del futuro»8. E naturalmente non potrò neppure trasmettere le differenze negli «stili» individuali dei diversi immaginanti. L’inconscio, senza per l’appunto considerare queste differenze, non presenterà immagini differenti nei cosiddetti soggetti sani e malati. La differenza sarà invece nello sviluppo del dramma, poiché la coscienza vi prenderà parte.

 

Jung ha parlato dell’unità della personalità conscia e inconscia, obbiettivo dell’immaginazione attiva. Ma il sentimento della sintesi delle tendenze consce e inconsce non è soltanto un obiettivo; esso è esperienza sempre attuale nell’immaginazione attiva.

 

L’Io cosciente entra nel ‘magico’ mondo dell’inconscio, sente la sua apparente infinita ricchezza e gli cede con fiducia la guida. Ma presto nel dramma degli eventi riemergeranno sentimenti contrari e l’Io si troverà a dover conservare la sua relazione con l’inconscio e allo stesso tempo a dover agire coscientemente e responsabilmente. Alla personalità si richiederà un equilibrio incredibilmente avvincente, poiché solo così l’inconscio potrà avere maggiore libertà di movimento e contemporaneamente la coscienza sarà ampliata. Come è difficile rimanere in equilibrio, entrare in relazione, averne fiducia e non smarrire la coscienza individuale, bensì arricchirla partecipando attivamente. La sensazione di arricchimento non resterà vaga e indefinita, ma prenderà visibilmente forma nei fatti dell’immaginario fungendo da rinforzo positivo. Immagini di rinascita, immagini di maggiore e benefica vicinanza potranno esprimere un equilibrio più disteso, un legame più stretto tra la personalità conscia e inconscia.

 

Quando l’equilibrio sarà più stabile anche nella vita esterna si vedrà un riscontro, nelle relazioni di fiducia che saremo in grado di instaurare con chi ci vive accanto e nella capacità di tradurre creativamente con le nostre caratteristiche individuali i movimenti interiori all’esterno.

 

Esempio di immaginazione attiva:

«Il bimbo dal triste volto di adulto si trasforma ora in un uomo. Compare un principe. Scrive su un foglietto due parole che non comprendo: shun tai chien in inchiostro nero e lue mes es in inchiostro rosso. Mi dice che questo sarà il mio prossimo compito. Il pipistrello nero che mi stava accanto è cresciuto anche lui e mi guarda con gli occhi di un rosso sfavillante. Chiedo al principe se il pipistrello potrà guidarmi. Mi dice di no. Mi potrà solamente accompagnare. Si continua a scendere. Si arriva in una spelonca. Sul pavimento di pietra ci sono due scheletri. Cerco qualcosa di vivo e riconosco un ragno. Gli parlo: mi racconta che gli scheletri erano una volta re e regina e lui, il ragno, il loro guardiano. Il mio compito è di ricomporli. Ma allo scheletro femminile manca la volta cranica, le manca, penso, la corona. Tutti insieme trasportiamo in superficie gli scheletri e trovo in mezzo a un prato la corona. Mentre l’afferro sento quanta energia la stia attraversando. Quando la appoggio sul capo color grigio cenere, si stende un velo rosso blu. So di dover scoprire questo velo. Mentre lo sto facendo esso si trasforma in un rotolo di pelle spessa. La tagliamo a pezzi e la cuociamo sul fuoco. Si sta trasformando in sangue. Bagno il capo con questo sangue. Subito dopo vedo che nello scheletro è tornata in vita tutta la circolazione del sangue. Avviciniamo lo scheletro a quello del re per fare in modo che il sangue passi anche in lui. Non c’è verso, non scorre ed ha un colore bruno, come di sangue coagulato. Poi metto gli scheletri uno sull’altro, per accoppiarli, li cingo entrambi col mio vestito. Di nuovo una trasformazione. Al di sotto delle vesti bianche si innalza un mostro dagli occhi luccicanti. Il ragno e il pipistrello si dirigono verso di lui e lo penetrano senza lasciare tracce. Il mostro comincia a crescere smisuratamente. Adesso ha l’aspetto di un enorme uccello dal muso largo di pesce. Mi riesce molto difficile parlargli e chiedergli cosa posso fare per lui. Ma dopo un po’ vengo a sapere che devo scavargli una fossa nel ‘mondo dell’oro’. Nella sabbia desertica, a mani nude, scavo a fatica un buco. Si sente gorgogliare e tuonare forte. Quando il mostro vi si butta dentro, con tutta la sua mole, producendo scricchiolii, si alza tantissimo fumo nero. Intorno a me volano frammenti incandescenti, c’è un fracasso infernale, si alzano geysers d’argento. Mi sento infinitamente piccolo. Sto seduto sull’orlo della terra, esposto all’inferno. Finalmente dopo tanto tempo mi tornano alla mente le parole asiatiche. Le pronuncio e improvvisamente tutto tace e si acquieta. Compare invece una superficie d’acqua, tonda e molto calma. Al centro galleggia una sorta di fiore di ninfea, il suo stelo finissimo ha le radici giù in profondità al centro del lago.

Rivolgo la parola al fiore, mi sorride. Mi prende con sé. Sto lì, nudo, steso al centro della ninfea. Mi ricopre con le sue foglie, a destra e a sinistra. Con delle cannule trasparenti porta nutrimento alla mia bocca. Sento che devo pronunciare una parola. Dentro di me sembra essersi formato un grande spazio vuoto, c’è soltanto un pacchettino grigio nel mio occipite. Cerco a lungo una parola.

Ecco, i suoni si congiungono l’uno all’altro. Nel mio corpo cavo risuona un suono simile a ‘ohor’. È fonte di un piacevole sentimento. Ora tutto si trasforma. Il fiore è diventato una nave fatta di tavole d’argento. Sono sulla nave e sto passando su un fiume. Le sue sponde sono bordate di città delle più diverse epoche».
Traduzione dal Tedesco di Cristina Ricci

 

 

1 C.G. Jung, «Scopi della psicoterapia» (1931), in Pratica della psicoterapia, Opere, Vol. XVI, Torino, Boringhieri, 1981, p. 60.

2 M.L. von Franz, Der Schatten und das Böse im Märchen, München Köselverlag, 1974.

3 C.G. Jung, Studien ueber den Archetypus, 1931-1954, p. 398. Vedi A.M.Ammann, Aktive Imagination, Darstellung einer «Methode» (1978), Olten, Walter Verlag, p. 109.

4 C.G. Jung, Ricordi, sogni, riflessioni (1961), raccolti ed editi da Aniela Jaffé, Milano, Rizzoli, 1978, p. 225.

5 H. Maass, Wach-Träume, Selbstheilung durch das Unbewusste, , (1989) Olten, Walterverlag

6 C.G. Jung, L’Io e l’inconscio (1928), in Due testi di psicologia analitica, Opere, Vol. VII, Torino, Boringhieri, 1983, p. 227.

7 C.G. Jung, Tipi psicologici (1921), Opere, Vol. VI, Torino, Boringhieri, 1969, p. 440.

8 M.L. von Franz, Wissen aus der Tiefe, München, Köselverlag, 1980.